Frattanto mi ostino a voler fare il regista

Video  —  Pubblicato: 21 giugno 2013 in Uncategorized
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Ho visto cose.
Ho visto persone vessate e schernite da chi si conforma alle regole;
Ho visto gente umiliata, derisa; Gente sofferente;
Ho visto malati di leucemia, di tumore;
Ho visto immigrati, ex galeotti, emarginati, pattume sociale;
Ho visto gente stuprata, violentata, malmenata;
E ho visto bambini tanti bambini;
Poi dice Perché non vai a vedere i festival di cortometraggi.

Arrivato a casa, la sera, per distrarmi mi è venuta voglia di cinema.

Sulla mia insofferenza verso l’argomento, vedi qui.

Ultimamente mi è capitato spesso di vedere amici girare – per un cortometraggio o per esercitazione – scene di poker.
Non mi ha mai appassionato il poker, ma non lo si può negare: la difficoltà registica di intrecciare in modo giusto tutti gli sguardi, e le opportunità narrative di utilizzare i temi del rischio, del gioco “adulto”, della sfida, e in buona sostanza dei conflitti, lo rendono un elemento fortemente valido di narrazione filmica.

Ultimamente mi è capitato di guardare Regalo di Natale. Non mi ha mai appassionato Pupi Avati, ma non lo si può negare: è uno dei pochi italiani che riesce a raccontare in modo interessante storie provinciali (sia nel senso buono che non).
A parte gli horror, finito di vedere un suo film ho sempre la sensazione che manchi qualcosa. Che il film abbia potenziale non sfruttato. Che Il cuore altrove è un film capace che non si applica.
C’è anche da dire che io arrivo spesso in ritardo; amo film di cui, alla prima visione, ho pensato Che film dimmèrda. Adoro Wes Anderson, ma la prima volta con i Tenenbaum ho pensato Ma ‘nsomma che è? Il quale, detto fra noi, non era manco un pensiero da citazione ai posteri.

Ultimamente mi è capitato di vedere Regalo di Natale, dicevo. E mi è piaciuto. Fra i film in cui succede di tutto, con un avvicendarsi fittissimo di accadimenti che poi alla fine non ti ricordi manco bene qual è la trama, e un film che riesce a raccontarti tutta la storia ragionando su singoli momenti, su una giornata, ho sempre preferito questi ultimi. Sono un fan scatenato di Sleuth, gli insospettabili (sia l’originale che il remake); ho apprezzato moltissimo Carnage di Polanski. Mi incuriosisce parecchio Buried, che però non ho ancora visto. E l’idea di incentrare un intero film su una partita di poker, strutturando la trama come una partita stessa, fra bluff e colpi da maestro, mi ha entusiasmato tanto che ne ho visto anche il sequel (La Rivincita di Natale).

Non sto parlando di capolavori, ma di film che si lasciano guardare con stima per il regista. Lo ripeto: sono due ore incentrate su una notte in cui quattro tizi giocano a poker. Mica facile ottenere attenzione, eh! Comprensibile poi l’utilizzo di flashback per riprendere un po’ di fiato dalla narrazione. Se fosse riuscito a farne a meno, sarebbero stati prodotti davvero notevoli. E azzeccata anche la scelta di prendere un attore comico e farne un personaggio serioso e che sta anche un po’ sul cazzo (il bravissimo Carlo Delle Piane). E’ un processo di “rivalutazione dell’attore comico” che piace tanto all’Avati ma che non sempre gli riesce – l’Ezio Greggio martire ne Il papà di Francesca non è riuscito granché.

Io invece ho attuato un altro processo di rivalutazione personale: per me ha riacquistato punti Avati e ha riacquistato punti persino il
poker. Ho cliccato sul primo sito di poker online cercando su google e ci ho fatto un po’ di partite.
Ma non sono capace.
Non ci giocherò più.

Prologo
Sono l’ultimo di tre fratelli. Dopo aver partorito il primogenito, mia madre ebbe un malore così forte che un esimio dottore le rivelò di doverle asportare l’utero.
Ora: se tu, o lettore, sei una donna, potrai immaginare quali possano essere state le reazioni di sgomento e disperazione. Se sei un uomo, potrai fartelo spiegare per avere una minima percezione della cosa. Come ho fatto io.

Sta di fatto che mio padre si rivolse a uno specialista che, ringraziandaddìo, gli spiegò che era una semplice infiammazione, che si poteva curare con alcuni medicinali, e che l’altro dottore era un cretino. Mio padre gioì per le prime due informazioni ma ebbe un moto di orgoglio anche per la terza.
Dopo pochi mesi infatti, mia madre era incinta del secondogenito.
In questa parte della storia io non esisto ancora, ma a questo punto, o lettore, potrai immaginare – sia che tu sia un uomo o una donna – che per me il rischio di non esistere nemmeno adesso è stato bello grosso.

Capitolo 1 – la nascita
Di tanto in tanto, come se niente fosse, i miei genitori mi hanno parlato di una certa gemella che io avrei dovuto avere e che è morta durante il parto. È morta così prematuramente che non se ne conosceva nemmeno il sesso. Ma siamo tre figli maschi; posso benissimo capire mia madre quando, nel raccontarmi la storia, ne parla come se fosse stata sicuramente una donna.

Io non ne so molto di medicina, quindi provo a raccontare al vicenda nel modo più scientifico che conosco: io e la mia sorella gemella eravamo collegati alla mamma tramite una specie di tubicino che ci passava le sostanze di cui ci nutrivamo. Ma io mangiavo sia quello che arrivava per me, sia quello che arrivava per la gemellina. Di conseguenza lei è morta.
Se tu, mio defunto gemello, sei una donna, immagina che trauma è stato per me scoprire di essere stato il tuo carnefice. Se invece sei un uomo, immagina che figata poter dire in giro di essere nato già con la fedina penale sporca. Sono nato assassino.
Nemmeno mia madre ne sa molto di medicina, per cui quando mi spiegava la faccenda della gemella la chiudeva subito riassumendo con “è morta perché tu te la sei mangiata”. Mia madre ha sempre saputo trovare le parole giuste.
Sono nato cannibale. Ma questo non era poi così figo da andarlo a dire in giro.

Maschio o femmina che tu sia, o lettore, capirai che un bimbo nato in una famiglia cattolica come la mia, che si sente spiegare di aver mangiato la propria sorella gemella quando non si era ancora formato, non poteva non immaginare che il Signore Iddìo lo avrebbe punito per questo mortale peccato di gola.
Ti sei voluto mangiare tua sorella prima di nascere? E mo’ non potrai mangiare più niente.
E questa, lettore o lettrice, è stata sempre la risposta scientifica che mi davo quando da piccolo mi domandavo Ma perché sono celiaco?

Epilogo provvisorio
Ho aperto un blog. Di nuovo.
Una sorta di spin off di questo, che parla solo di celiachia.
Non so. Magari dategli un clik.

Centonòve: verbalizzando il 2011.

Pubblicato: 2 gennaio 2012 in Uncategorized

Di nuovi amici che a un certo punto è necessario e che pareva conoscerli già da anni, e delle loro stranezze e delle mie che andavano a braccetto;

Di un centonòve come voto che ora tutti dicono Ma centodiéci no? ma che non sanno che io il centonòve manco l’avevo chiesto, tanto che alla proclamazione con l’annuncio dei voti la mia prima parola da dottore è stata un tracotante vernacolare ‘n’gulo! ;

Dell’Africa e del “di nuovo?” e del “chi se lo aspettava?”;

Del post-Africa e dell’ “adesso come ve lo spiego?”;

Delle t-shirt giovani e colorate del Giffoni Film Festival e dell’ilarità per il giorno di festa non calendarizzato;

Della scrosciante Bobbio  che ormai ci avevo perso le speranze, e di compagni occasionali di vita, gente talmente fantastica che l’idea di non rivederli più mi deprime e mi consola assieme;

Di Marco Bellocchio e di dieci giorni da favola che se avevo il dubbio Sì ma cinema o non cinema? sono tornato da là dicendo Cinema, cinema, certo che cinema;

Di un cambio di domicilio che solo chiamandolo così, cambio di domicilio, riuscivo a non esaltarmi troppo per la cosa. E a non piangere;

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Niente di nuovo

Pubblicato: 7 ottobre 2011 in Robe mie

Se poi non interessa a nessuno è un altro discorso.
Ho venduto la chitarra. Elettrica. Bellissima.
Che quanto era figo avere la chitarra elettrica al liceo.
Per comprarla partii di mattina presto dal mio paese e andai in città, a Via San Sebastiano. C’era anche mia madre con me, che sorvolava sui miei “a me mi piace fa’ i’ chitarrista”. Finsi di portarla con me perché, andando con i mezzi, lei poteva suggerirmi come arrivare alla “via dei musicisti” di Napoli; in realtà quando lei mi diceva Prendiamo questo bus, io le rispondevo Ma no, con la metro arriviamo subito.
Non ci mise molto a capire che io a Napoli ci andavo spesso. E che, forse, a scuola, ci andavo un po’ meno.
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È facile e risaputo:

Siamo quotidianamente invasi da un’orgia di pubblicità, quindi
ci siamo assuefatti a questa invasione, quindi
non tutta la pubblicità riesce ad attirare la nostra attenzione, quindi
i pubblicitari si ingegnano a trovare modi sempre diversi per farci guardare i prodotti che pubblicizzano, quindi
non di rado usano la tattica della provocazione per colpirci a sorpresa, quindi
se la pubblicità è abbastanza provocatoria, magari anche offensiva, ne parleremo in giro indignati (o ammirati a seconda dei casi), quindi
creeremo piccoli o grandi dibattiti su quello che abbiamo visto, MA
si rischia di parlare più della campagna pubblicitaria che del prodotto pubblicizzato, facendo più pubblicità all’agenzia pubblicitaria che al prodotto per cui si è pensata quella provocazione.
Complicato?

Come corollario, c’è da dire che spesso la forsennata ricerca di provocazione può arrivare a risultati che mettono il naso oltre la soglia standard di quello che è definito “il buon gusto comune”. Ma veniamo alla pratica.

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